Coronavirus, l’Usppi denuncia: «Gestione fallace di Comitato tecnico scientifico, Istituto superiore di sanità e management di Asl e ospedali»
4 min readL’attacco del segretario nazionale, Nicola Brescia: «Personale sanitario “al fronte” senza protezioni. Risultato? Oltre 14.000 operatori contagiati e 116 medici deceduti»
«Chi ci guida a livello tecnico ha responsabilità gravissime: ha permesso che si mandassero medici a operare senza le protezioni necessarie. E così oggi abbiamo oltre 14.000 operatori contagiati e 100 medici morti».
Duro il giudizio da parte del segretario nazionale dell’Usppi – Unione Sindacati Pubblico Privato Impiego – Nicola Brescia, sull’operato di Iss, Cts e Aziende sanitarie nella risposta al Covid-19.
Segretario, a ormai un mese e mezzo dall’inizio della pandemia, cosa pensa della risposta della sanità italiana?
Istituto superiore di sanità, Comitato tecnico-scientifico e responsabili di Aziende sanitarie si sono lasciati trovare totalmente impreparati, nonostante le avvisaglie. Non hanno pensato a implementare i piani pandemici e a creare stock di Dispositivi di protezione individuale a tutela degli operatori sanitari, causando il contagio di oltre 14.000 operatori, oltre al decesso di 116 medici. C’è poi un elemento di colpa ulteriore.
Quale?
Sul tema dei Dispositivi di protezione individuale, l’Istituto superiore di sanità si è appiattito sulle posizioni dell’Oms. Quest’ultima ha cambiato in pieno sviluppo pandemico l’indirizzo sull’utilizzo della maschere filtranti, sostituite con quelle chirurgiche, che studi successivi hanno dimostrato essere inadatte a proteggere gli operatori. Sembra che siano stati totalmente dimenticati due insegnamenti fondamentali trasmessi da Carlo Urbani, infettivologo che ha combattuto la Sars nel 2003 in Vietnam: separare i pazienti infetti, creando da subito percorsi ben separati e distinti, cosa sulla quale non eravamo affatto preparati, e garantire protezione del personale ai massimi livelli con i Dpi adatti.
Il Decreto “Cura Italia” sta dando risposte efficaci per il personale sanitario?
Assolutamente no. Sono state riproposte le mascherine chirurgiche per gli operatori sanitari che, per di più, sono gli unici esonerati dall’isolamento fiduciario, sebbene siano in contatto con pazienti positivi a Covid-19. Una decisione sciagurata, che ha già trasformato gli ospedali in luoghi di contagio: il rischio di infettare colleghi e pazienti è altissimo. Inoltre, con quale spirito i colleghi possono tornare a casa, consci dell’alto rischio di infettare anche la propria famiglia? Non a caso, alcuni preferiscono evitare, non potendo così neanche più far conto sul sostegno psicologico dei propri affetti. Ma capisco il motivo di questa scelta politica, visto che veniamo da anni di sottofinanziamento del Ssn: posti letto tagliati, posti di terapia intensiva inadeguati e grave carenza di personale sanitario.
Sembra che l’Italia si sia divisa anche nella sfida al Covid-19. Tre i principali modelli di risposta adottati dalle diverse Regioni: ospedalocentrica, mista o più incentrata sul territorio. Questo è stato un problema?
Siamo di fronte a una malattia perfettamente sconosciuta, subdola e contro cui non abbiamo nessuna arma di difesa. A oggi, non abbiamo né farmaci né vaccini. Per molti versi abbiamo rincorso l’evento epidemico, non siamo quasi mai riusciti ad anticiparlo.
Dopo un mese di sostanziale tregua, è partita una nuova vertenza del fronte sindacale. Diverse le richieste: “scudo” sulla responsabilità professionale, premialità, assunzioni e Dispositivi di protezione individuale.
Lo “scudo” giuridico permetterebbe come unico elemento di procedibilità il dolo, e non più anche la colpa grave. Si dovrebbe poi pensare all’istituzione di un Fondo ad hoc, che possa garantire in maniera standardizzata e rapida gli indennizzi per gli operatori danneggiati o deceduti. Occorre, inoltre, cambiare il concetto di colpa medica, che dovrebbe virare verso modelli nord europei, passando da una logica della colpa a una logica dell’errore. Anche questo processo andrebbe accompagnato da sistemi di indennizzo, sullo stile di quanto avviene per le trasfusioni errate.
Come immagina la “Fase 2”?
Non bisogna disperdere i sacrifici fatti grazie al distanziamento sociale. Si dovrà in qualche modo avere una ripresa delle attività, verosimilmente ci vorrà tutto maggio per poter vedere una riduzione consistente della casistica. Con l’aiuto dei nuovi test sierologici, si potrebbero realizzare studi di sieroprevalenza sulla popolazione, per capire la reale circolazione del virus nel Paese. Quello che abbiamo individuato finora con il tampone non è che la punta dell’iceberg.
Quando ritiene si possa tornare a una vita normale?
Non torneremo alle condizioni precedenti, fino a quando non avremo un vaccino. Dovremo convivere con il virus e ci saranno nuovi focolai, che dovranno essere prontamente individuati e isolati. Si passerà a zone rosse più limitate per circoscrivere l’espansione di nuovi epicentri epidemici. Inoltre, aumentano segnalazioni di eventi tromboembolici legati allo stato infiammatorio generale che il Covid-19 comporta. Ci sono avanzamenti importanti sotto il profilo della comprensione di una malattia ancora non conosciuta in tutte le sue articolate espressioni.
Come funzionerà la sanità del dopo Covid?
Abbiamo riorganizzato la sanità esclusivamente in una logica di reazione al Covid-19, mettendo da parte tutte le patologie ordinarie: ora andranno riaffrontate con una riorganizzazione complessiva del sistema. Dovranno essere previsti sul territorio dei presidi dedicati solo al Covid-19. Si dovrà riprendere l’attività ordinaria. Il dato positivo è che avremo più posti letto in terapia intensiva. Si dovranno poi indirizzare i nuovi contratti di formazione: avremo bisogno di anestesisti, infettivologi, pneumologi, chirurghi, ortopedici e tutti coloro che dovranno intervenire per il ritorno alla normalità del Ssn. Sarà dunque necessario un controllo più stretto da parte del Ssn sulle prospettive della formazione post laurea, che non potrà essere lasciata alla gestione autoreferenziale del Miur.